Per la serie delle interviste ai leader il nostro CEO, Federico Fioretto, intervista oggi Giulio Bonazzi sulla sostenibilità. Cavaliere del Lavoro, presidente e Amministratore Delegato di Aquafil Spa, Bonazzi è leader mondiale nel filato di nylon rigenerato con il marchio ECONYL®.
“Dove altri vedono rifiuti io vedo una miniera d’oro”
Dopo il suo ingresso nell’azienda di famiglia nel 1987 e i primi anni dedicati all’internazionalizzazione, Bonazzi indirizza Aquafil sulla strada della sostenibilità integrata e della circolarità dei processi, seguendo le orme di pionieri come Ray Anderson, il mitico CEO di Interface, e Doug Tompkins, cofondatore di The North Face ed Esprit. Il suo motto diviene “dove gli altri vedono rifiuti io vedo una miniera d’oro”.
Da allora la sua azienda è divenuta un leader esemplare nel campo dell’economia circolare e della sostenibilità aziendale. Ecco quindi le sue riflessioni, preziose per ogni imprenditore che voglia intraprendere la strada della sostenibilità aziendale.
“O la fai o muori”
FF: Partiamo subito forte: cosa risponderesti a un CEO che ti chiede qual è la convenienza per un’impresa a intraprendere il cammino della sostenibilità?
GB: Ci sono due buoni motivi: primo perché se non lo fai muori. Non è questione di “quando” ma di “se”. Il secondo perché quello dei prodotti sostenibili è un mercato in fortissima espansione, per cui è anche un modo per l’azienda di crescere, ma di farlo in modo sano e durevole.
La curva della ricerca di prodotti più sostenibili continua a impennarsi. Alle volte purtroppo il pubblico fa un po’ di confusione, però quando un’azienda ha veramente “qualcosa da dire”, vendere non è più un problema: il prodotto sostenibile si vende da solo, mentre quello convenzionale richiede sforzi incredibili. Noi con ECONYL®, nonostante il 2020 sia un anno molto particolare, per il momento non abbiamo perso volumi. In termini di fatturato, come si legge dal nostro rapporto del 1° trimestre, abbiamo mantenuto il livello precedente. Nel secondo, con l’economia mondiale praticamente ferma, si perderà qualcosa, ma si tratta di 1/4 rispetto al calo per il prodotto “normale” e tutti i giorni riceviamo richieste dai clienti per parlare di collaborazioni, di marketing, della firma di nuovi contratti; è un flusso di richieste veramente continuo.
In questa situazione particolare, nella quale sembra che il petrolio sia “regalato”, qualcuno potrebbe esser tentato di insistere sulle energie e materie fossili. Ma è una contingenza effimera: le risorse fossili sono destinate a divenire sempre più scarse e costose. E poi c’è la questione dell’ambiente e del cambiamento climatico. Anche se non sei un Maldiviano, la cui terra rischia di essere sommersa fra pochi anni, c’è poco da dire: non c’è assolutamente alternativa alla sostenibilità.
FF: Se ricordo bene dalla nostra conversazione in AIAS del 28 Aprile u.s., già dalla crisi del 2008 sperimentate una maggior resilienza rispetto alle aziende non impegnate verso la sostenibilità.
GB: Il nostro impegno strutturato sulla sostenibilità inizia nel 2007, quando abbiamo lanciato i primi prodotti e abbiamo visto come il mercato li recepiva. Lì abbiamo cominciato a mettere a punto la tecnologia. Nel 2009 abbiamo aperto il capitale a un Fondo di private equity per fare due investimenti: la tecnologia per sviluppare ECONYL® e lo stabilimento in Cina. Poi nel 2011 è partito lo stabilimento per la produzione del filo ECONYL®.
Quanto alla crisi, il 2009 è stato un anno di forte riduzione del fatturato, come sarà probabilmente il 2020, ma sempre con dei buoni flussi di cassa e un EBITDA molto interessante. La nostra è un’azienda molto resiliente. Rarissimamente abbiamo avuto EBITDA a una cifra, mentre i nostri concorrenti ce l’hanno normalmente. Dunque, pur nella nostra imperfezione, riusciamo ad avere risultati migliori della concorrenza.
Business case più forte
FF: Questo aspetto è da aggiungere alla validità del Business Case della sostenibilità integrata.
GB: Certo. Chiaramente in questo momento posizioniamo ancora ECONYL® nella fascia “alta” del mercato. È ovvio che lì sono tutti prodotti a maggior valore aggiunto. Se tu pensi a un capo di Gucci o una borsa di Prada, oppure se pensi al progetto di un ufficio di lusso, il prezzo non è il principale fattore discriminante nella scelta del cliente.
Però tutti quanti trattano: anche Rolls Royce quando ho voluto affrontarla con ECONYL® ha trattato fino all’ultimo centesimo, ma questo è normale. Però è chiaro che in fascia alta c’è più spazio di manovra. Tuttavia, anche con una minima differenza, il consumatore oggi se può acquista sicuramente prodotti meno impattanti sull’ambiente. Chiaramente, pensando di sostituire ogni prodotto con la sua versione sostenibile, bisogna tener conto che alla fine le persone acquistano in base al reddito disponibile e dunque c’è ancora da fare.
Competitività su tutte le fasce
FF: Questo sarà un tema chiave: arrivare a essere concorrenziali sulla fascia bassa del mercato.
GB: Noi per esempio vendiamo anche a H&M, anche se nella sua Conscious Collection, dunque nella parte più alta del suo portafoglio; ma è ovvio che non è Gucci, non è Stella McCartney. In realtà se guardiamo la nostra curva di costo siamo già competitivi. Non è che il nostro filo costi di più del prodotto realizzato con materie prime fossili e man mano che aumentiamo i volumi diventiamo sempre più competitivi. Al di là del momento contingente, quando il petrolio torna tra 50 e 70 $ al barile, e anche oggi se riusciamo a raccogliere gli scarti giusti, non siamo assolutamente più costosi del prodotto tradizionale.
Una unità “speciale”
FF: Ciò conferma che un’impresa impegnata a fondo nella sostenibilità e nella circolarità dei processi è già competitiva rispetto alla concorrenza convenzionale. Parlami della vostra unità Energy & Recycling, nata nel 2007: mi sembra di capire che è stata il cuore dell’innovazione sostenibile.
GB: In realtà abbiamo fatto due cose nel 2007 – 2008, proprio per dare un segnale soprattutto interno dell’importanza di ciò che stavamo facendo, anzi tre. La prima è stata chiuderci per quasi una settimana con degli esperti per capire qual era la nostra definizione di sostenibilità, perché ovviamente ogni settore, ogni azienda ha le proprie peculiarità. Una volta usciti da questo “conclave” abbiamo cominciato a creare delle strutture organizzative formalizzate, per chiarire che l’alta Direzione “faceva sul serio”.
Quindi è nata Energy & Recycling, una specie di unità operativa che raccoglieva tutti i progetti particolari. A un certo punto abbiamo dovuto fermarci perché tutti volevano lavorare lì: ovviamente, era la parte più divertente… ho dovuto ricordare che c’era anche il resto!
Il lancio di The Eco Pledge
GB: Terza cosa, il lancio di un’altra iniziativa interna e con i nostri stakeholders che si chiama The Eco Pledge, per cercare di sviluppare armonia con le nostre persone, le nostre infrastrutture, le aziende del circondario.
Da lì le collaborazioni come quella con l’Acquapark di Lubiana, con Dana l’azienda nostra confinante, i cui uffici sono riscaldati dal calore residuo della nostra centrale, con tante scuole, per l’accesso alle cure sanitarie in Cina e così via.
Questo è Eco Pledge: aiutare la gente e conservare l’ambiente per le future generazioni.
Tornando a E&R, si: è stata il cuore pulsante dell’innovazione. Il doppio nome origina dal fatto che l’efficienza energetica è la prima cosa che tutti vedono per la sostenibilità, ma è un aspetto molto parziale, probabilmente il meno importante. Intanto però era un forte segnale interno che diceva: la Direzione c’è, ti ascolta.
Se uno arrivava con un’idea, quindi, si analizzava e se valida si sviluppava.
Il risultato è stato che all’inizio ero io che spingevo le mie persone; dopo un po’ sono state loro a spingere me. Sono continuate ad arrivare e continuano ad arrivare iniziative per migliorare ed è una grandissima soddisfazione.
L’eredità di Ray Anderson
FF: Qui mi è chiara l’influenza di Ray Anderson e della sua Interface nella tua storia! Così da Interface passo alla vostra ACR cioè alla vostra azienda sul riciclaggio dei tappeti negli USA. Possiamo definirla chiaramente una nuova linea di business, un progetto imprenditoriale che nasce dalla sostenibilità. Questo di nuovo è interessante per ragionare con gli imprenditori.
GB: Hai colto perfettamente. C’è una necessità: quella di creare circolarità, non del Nylon in sé ma dell’industria. Noi alla fine vinceremo non se Aquafil è circolare, ma se il prodotto finito diventa circolare; quindi il tappeto, la sedia, l’impermeabile di Burberry, la borsa di Prada ecc. diventano circolari. Questo è l’obiettivo finale. Noi stiamo creando circolarità nella materia prima, ma i prodotti dei nostri clienti finiscono ancora in discarica.
Alcuni, tipo gli impermeabili di Burberry o le borse di Prada, non dovrebbero mai finire in discarica: dovrebbero continuare a vivere in modo perpetuo nell’aftermarket, nell’usato, settori che peraltro stanno avendo uno sviluppo stratosferico.
Ma rendere circolare un tappeto è una grande sfida ed è molto complicato. È più facile rendere circolare la borsa della spesa o la bottiglia di plastica, perché il loro ciclo di vita è molto breve. Convincere i clienti, i distributori e il consumatore che il fine-vita è importante e deve essere tenuto in considerazione è complicato, soprattutto se non riconoscono un beneficio o un risparmio per loro.
Abbiamo sviluppato una tecnologia per riciclare i tappeti di oggi, fatti per finire in discarica, appoggiandoci su una legge della California che ha destinato risorse a questo, con l’obiettivo di togliere dalle discariche il 50% dei tappeti.
Contemporaneamente abbiamo formato un gruppo, sempre gente che partecipa tra l’altro a E&R, per lavorare con i clienti e cambiare il modo di produrre i tappeti affinché in futuro siano più facilmente riciclabili.
Diventa molto più conveniente smontare un prodotto già progettato per essere riciclato alla fine della sua vita utile.
La situazione nel settore abbigliamento
FF: con Interface che con Tarkett lavorate molto sul riciclo dei pavimenti tessili. Com’è invece la situazione nell’abbigliamento: solo prodotti “bandiera” o sostenibilità reale?
GB: Variegata. Penso al caso di Napapijri con la giacca Infinity, che è un caso straordinario di prodotto pensato in modo circolare. Tanti altri ne stanno nascendo. Save The Duck ha pure fatto qualcosa del genere; anche altri marchi stanno pensando di cambiare il modo di fare i prodotti con un’idea di circolarità che può essere data dall’uso di monomateriali o da prodotti facilmente smontabili.
Ma la sostenibilità è un percorso, che anche noi stessi stiamo facendo. Qualcuno è partito prima e viaggia più velocemente; ci sono marchi storici che hanno avuto un approccio diverso, tipo Stella McCartney per fare un nome, oppure Outerknown, il marchio beachwear di Kelly Slater; altri che invece stanno capendo ora che devono cambiare.
Prada, per esempio, ha impiegato quasi tre anni per fare il primo lancio di suoi prodotti in ECONYL®, ma non perché avesse dei problemi a farlo. Si sono resi conto che non potevano fare quel che dicevi tu, lo “specchietto per le allodole”, perché avrebbero prestato il fianco a chi, ONG, ambientalisti, consumatori, glielo avrebbe poi rinfacciato. Hanno scelto correttamente di fermarsi, come altri insieme a loro, prima di tutto per comprendere cosa fosse per loro la sostenibilità e creare di conseguenza un percorso adeguato. Poi bisogna darsi delle scadenze e cercare di rispettarle, o migliorarle se possibile.
Del resto, se qualcuno mi sa fare un esempio di qualcosa oggi che è perfettamente sostenibile, gli dico “bravo”. Secondo me ancora oggi non esiste. Siamo in cammino.
L’accelerazione nella Sostenibilità
FF: Concordo pienamente. Ciò detto, vedi un’accelerazione nella conversione verso la sostenibilità?
GB: Si, soprattutto negli ultimi anni c’è stata un’accelerazione mostruosa perché il consumatore diventa sempre più sensibile grazie anche al lavoro fatto dai cosiddetti influencer. Pensa a Hollywood: tra tutte le star di Hollywood non ce n’è una che non abbia un progetto sociale o ambientale, come Leonardo Di Caprio o Kevin Costner. Questo aiuta a trascinare il sentimento del consumatore. E il consumatore è anche elettore e dunque anche i vari governi, ultima l’Unione Europea con il famoso Green Deal, hanno cominciato a ragionare su alcuni temi. Poi c’è Trump che a parole è contrario e preferisce il carbone all’energia rinnovabile ma…
Una discriminante sul mercato
Del resto ormai sta diventando una discriminante in molti mercati, anche come fornitori, avere prodotti dimostrabilmente a basso impatto ambientale. Essendo il nostro l’ingrediente più importante per i nostri clienti, dobbiamo riuscire a produrre i nostri prodotti e soprattutto ECONYL® con il minor contributo di CO2 possibile. Oggi siamo inferiori di oltre l’80% per quanto riguarda le emissioni di CO2, rispetto a un Nylon prodotto con materiale da fonte fossile. Per migliorare ancora lavoriamo su ogni dettaglio, dall’energia ai trasporti – cerchiamo anche di far venire i collaboratori in bicicletta, alla riduzione di scarti e rifiuti. Tutto è calcolato.
Una scelta inevitabile per ogni impresa
Si conclude così la conversazione con uno degli imprenditori simbolo della svolta “verde” dell’industria, che ringraziamo di cuore per l’ampia disponibilità. Ci ha fornito un perfetto esempio reale di come sia possibile, e vantaggioso, perseguire la generazione di valore economico e sociale congiuntamente a performance economiche eccellenti. A fronte dell’alternativa “o lo fai o muori”, viene davvero da chiedersi se la sostenibilità integrata non debba oggigiorno essere considerata una scelta ovvia e inevitabile per ogni azienda in ogni settore di attività.
Rendere il proprio business sostenibile è un’esigenza di molti, oggi. Se anche tu vuoi migliorare la sostenibilità della tua azienda o iniziare questo percorso, approfitta del nostro strumento gratuito!